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Fabrizio Bracco

Intervista a: Fabrizio Bracco.
Professione: professore, Università di Genova e di Pavia.
Contenuti: accessibilità, usabilità, ergonomia, innovazione, informatica.

Chiariamo i termini: in cosa consistono le differenze tra ergonomia, usabilità, e accessibilità?
Innanzitutto, semplificando, potremmo intendere l’accessibilità come un aspetto dell’usabilità, e questa come un aspetto dell’ergonomia. Tre insiemi concentrici in cui l’ergonomia risulta essere la categoria più generale.

Chiarissimo. Spendiamo due parole sull’ergonomia.
Per ergonomia (etimologicamente: legge del lavoro) si intende quella disciplina che studia come migliorare il rapporto tra l’uomo e la sua attività, negli aspetti fisici (comodità delle strutture, illuminazione, temperatura, ecc.) e psicologici (facilità di comprensione del compito, di utilizzo degli strumenti, benessere psicofisico, ecc.). Di particolare interesse è l’ergonomia cognitiva, ossia lo studio di come la mente umana affronta le situazioni in cui deve produrre un comportamento, così da poter istruire i progettisti su come ideare la struttura di un compito, su come progettare un’interfaccia, sulla presentazione di feedback e sulla predisposizione di vincoli o rimedi all’errore umano, che è inevitabile e pertanto dev’essere contrastato.

A ciò può concorrere anche l’usabilità. In cosa consiste esattamente?
L’usabilità è uno dei campi di studio dell’ergonomia, ed in particolare di quella cognitiva. La definizione ISO 9241 di usabilità mette in luce tre aspetti cruciali di uno strumento usabile: l’efficacia con cui questo permette di eseguire un compito; l’efficienza dell’esecuzione; la soddisfazione personale nell’usare lo strumento. In generale, secondo Donald Norman, noto psicologo statunitense, uno strumento usabile permette di capire, senza troppa fatica, cosa si deve fare (che bottoni azionare, che funzioni attivare) per raggiungere un obiettivo (aprire una porta; attivare un ascensore); fornisce feedback chiari sullo stato del sistema, limita la possibilità di errore e, nel caso si verificasse, permette di reagire limitando i danni.

E l’accessibilità?
L’accessibilità, infine, deriva dal principio che un design adeguato sia flessibile, ossia adatto a più fasce d’utenza, diverse per età, istruzione, condizioni psicofisiche.
Uno strumento accessibile garantisce l’usabilità ad un campione di utenti il più ampio possibile.

Quali implicazioni o sviluppi pratici può avere l’ergonomia nell’informatica di tutti i giorni? Nel computer di casa?
Le implicazioni sono enormi, e non solo dal punto vista puramente psicologico, ma anche commerciale. Alla nascita dei primi computer, alla fine degli anni ’40 del secolo scorso, molti erano scettici sul fatto che tale invenzione sarebbe entrata nella vita di tutti noi con una tale capillarità. In effetti, questa riserva si è mantenuta a lungo, anche quando sono comparsi i primi piccoli personal computer.

Era l’nizio anni ottanta…
Sì. Ricordo le lezioni d’informatica che seguivo a scuola, spaventato da quello schermo nero con cui l’interazione era limitata a stringhe di comandi che scrivevo sistematicamente in modo errato e da cui ricevevo sistematicamente la stessa risposta: Syntax error. La prima lezione di informatica il docente esordì dicendo: “Se scrivete format C: vi espello dalla scuola…” Tutto questo generava quella sensazione che Norman definisce “senso di impotenza appresa”, a causa di cui non si impara ad usare il computer per il timore di sbagliare.

Un circolo vizioso, insomma.
E l’informatica è solo un esempio. Tutta la tecnologia ha dovuto uscire da quell’aura di esoterismo per poter trovare ampia diffusione: non era l’utente che doveva adattarsi alla tecnologia, ma la tecnologia all’utente. La creazione di strumenti dal design user friendly, di interfacce basate su icone, finestre, animazioni, e non su stringhe di comandi, ha aperto il mercato ad un’enorme fascia di popolazione, garantendo un uso più efficace, efficiente ed anche divertente (soddisfacente) dello strumento. In poche parole più lo strumento sarà ergonomico e funzionale, più la diffusione sarà ampia.

Ma secondo lei è possibile una mediazione tra gusto estetico ed effettiva fruibilità del prodotto? Mi riferisco alla contraddizione proposta da Norman. In pratica: siamo condannati ad avere prodotti brutti ma molto utili (nella migliore tradizione del businessman americano), oppure il gusto estetico può in qualche modo convivere con l’usabilità?
La risposta sembrerà scontata: dipende. Norman ha seguito un percorso ventennale nei suoi libri, partendo da un rigore attento solo alla funzionalità, descritto nel bellissimo libro La caffettiera del masochista, per passare con gli anni a posizioni più docili nei confronti dell’estetica, fino al più recente Emotional design. La dicotomia tra funzionalità ed estetica riflette un più profondo dualismo radicato nella nostra cultura tra ragione e sentimento, dove i due poli sono visti come inevitabilmente inconciliabili. Per fortuna oggi le neuroscienze, l’antropologia e la psicologia ci dicono che ragione ed emozione non sono così antitetiche: c’è sempre un po’ di emozione nella ragione e viceversa.

Ovvero?
L’emozione, a livelli moderati, è importante perché garantisce la fissazione del ricordo e l’arricchimento dell’esperienza. Un design che sia anche emozionale può quindi risultare anche più usabile di uno puramente funzionale. La difficoltà sta nel bilanciare correttamente i due ingredienti, perché l’estetica non prenda il sopravvento e vada a scapito dell’usabilità.
Grande rilevanza ha lo scopo dello strumento: se devo preparare una colazione veloce prima di andare al lavoro, prenderò la classica caffettiera molto pratica e spartana; se ho amici a cui offrire il caffè e tempo per una conversazione, ricorrerò a quella dal design più intrigante ma che richiede più attenzione e cura nella preparazione.
L’aspetto preoccupante, però, è che la soluzione puramente estetica è spesso utilizzata dai designer come specchietto per le allodole, con l’unico scopo di intrigare l’utente. Questo poiché viviamo in una società basata sull’immagine, in cui se non ci sono forme, animazioni o colori sgargianti, si tende a credere – a torto – che il messaggio informativo sia inesistente.

Parlando di accessibilità. Non crede che utilizzare tecnologie che agevolano lo svolgimento di azioni fino ad oggi impensabili per soggetti disabili (come l’uso del computer) significhi auto escludersi da uno standard e da un modello produttivo dominante? Oppure: sarà lo standard a confluire nei precetti teorici dell’usabilità?
Alcuni studiosi accusano direttamente l’aumento esponenziale delle funzioni chiamandolo “proliferazione strisciante delle funzioni”, che crea difficoltà anche agli utenti a cui sono rivolti i prodotti informatici di base. Il discorso si fa ancora più complesso per le fasce d’utenza con particolari disabilità. Iniziative volte all’accessibilità sono interessanti e meritano considerazione, anche se possono costituire una deviazione dallo standard. A mio avviso il rischio di auto escludersi esiste, ma ricordiamo che certe fasce d’utenza sono spesso già escluse dall’accesso agli strumenti informatici, quindi ogni iniziativa che permetta di beneficiare delle funzioni di un computer è indubbiamente benvenuta.
Auspico anzi che l’approccio usabile di certi programmi (come il noto WinGuido) possa ispirare nuove tendenze nella progettazione, così come l’usabilità del sistema a finestre adottato da Apple ha poi conquistato tutta la filosofia progettuale successiva. Non credo che questo porterebbe ad una riduzione delle funzioni degli strumenti attualmente in uso, ma a una loro razionalizzazione, a una diversificazione degli strumenti, delle versioni dello stesso software, in modo da permettere all’utente di scegliere il livello di complessità e funzionalità del sistema che vuole utilizzare.

Per l’università di Genova si occupa di ricerca sui disturbi del linguaggio e dell’apprendimento, come affrontata il problema dell’uso delle tecnologie nei bambini e nell’adolescenza?
Il rapporto tra tecnologie e didattica ha visto momenti alterni di esaltazione e di maggior cautela. Talvolta si è pensato che le potenzialità dei mezzi informatici potessero colmare lacune presenti nell’impostazione formativa, in altre occasioni si sono assunte posizioni più moderate e persino scettiche sul reale vantaggio della tecnologia nella scuola. La tecnologia offre notevoli potenzialità nella formazione e nello studio dello sviluppo del bambino, tuttavia questa non deve essere vista come la soluzione di ogni problema.

Un esempio delle possibili interazioni bambino-tecnologia?
Tra le attività del nostro Polo Bozzo, c’è lo studio di come le varie forme di intelligenza dei bambini (penso alla teoria delle intelligenze multiple di Howard Gardner) possano essere adeguatamente stimolate anche grazie al ricorso alla tecnologia. Prendiamo due bambini, uno che ha spiccate abilità visuo-spaziali e l’altro linguistiche. Lo stesso argomento, ad esempio la Rivoluzione Francese, potrebbe essere affrontato in modalità iconica (con animazioni, fumetti, dipinti dell’epoca) dal bambino “visivo”, e con narrazioni, racconti e resoconti scritti dal bambino “verbale”. Questo non significa che ogni tema debba essere adattato alla specificità di ognuno, ciò implicherebbe la decuplicazione degli argomenti, ma che ogni studente si possa confrontare con modalità di pensiero e ragionamento variegate, dal visivo al verbale, dal sonoro al cinestesico, dal logico-matematico all’interpersonale… aspetti gestibili al meglio grazie alle tecnologie informatiche.

Un buon sistema per agevolare l’apprendimento, in sostanza.
Esatto. Un breve cenno, a questo proposito, all’edutainment, ossia didattica (education) trasmessa con modalità ludiche (entertainment): oggi esistono molti siti web o prodotti multimediali in cui il gioco è il mezzo con cui si veicolano contenuti didattici (dalla sicurezza stradale alle nozioni di geografia). L’interattività data dalle tecnologie informatiche agevola la creazione di un contesto ludico, favorendo il consolidamento del messaggio (le nozioni). Ma come per il discorso tra estetica e funzionalità, anche in questo caso è una questione di bilanciamento tra gioco e didattica.
La sfida, non da poco, è quella di passare da un approccio “zucchero-sulla-pillola”, dove si aggiunge il divertimento a un contenuto didattico in modo talvolta posticcio, all’approccio “caramella-balsamica”, dove il gusto del divertimento e dell’apprendimento sono la stessa cosa. In questa sfida – ma non solo in questa – i computer hanno la possibilità di giocare un ruolo fondamentale.

Data: ottobre 2006.

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