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Sono stufo di vedere quelle facce alla tivù

Genova – Stamattina mi son trovato per caso tra le mani un disco di Francesco Baccini di dodici anni fa (“Baccini a colori”).

Baccini è un tipo intelligente, ironico, e abbastanza particolare. Ricordo pochi anni fa ci conoscemmo di sfuggita a Sanremo, lui era lì per un incontro coi ragazzi sulla musica e io per lavoro. Aveva una giacca di pelle nera con un caldo assurdo, occhiali da sole nel buio di un bar del corso, scarpe da cowboy sui cubetti di marmo di Piazza Colombo. Avrei dovuto intervistarlo ma alla fine abbiamo fatto solo due brevi chiacchere, stessa voce dei dischi: da bluesman della Louisiana con un passato segreto da camallo genovese. Ironico, tagliente, gentile, disilluso e anche un po’ timido, come nelle canzoni.

Stamattina mi son trovato per caso tra le mani un disco di Francesco Baccini di dodici anni fa (“Baccini a colori”), dicevo. E’ domenica. E fra i litigi istituzionali di questo periodo spero mi sia permessa una citazione un po’ leggera (per qualsiasi funzionario SIAE che passi di qua: “a nome dell’art. 70, legge 633/1941”). La canzone è “sono stufo di vedere quelle facce alla tivù“, e mi ha fatto rirdere non poco considerando che è stata scritta quasi 15 anni fa.

Sono stufo di vedere quelle facce alla tivù,
sempre uguali sempre quelle che ti danno anche del tu:
Baudo, Frizzi, Fiorello, mi si appanna il cervello,
Mike Bongiorno e Castagna la solita lagna.

Sono stufo di vedere i comizi alla tivù,
sempre uguali sempre quelli che ti danno anche del tu:
Fini, Bossi e Maroni mi hanno rotto i coglioni,
D’Alema e Casini fan paura ai bambini.

Ma poveri bambini.

Luca Spinelli

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