Intervista a: Beatrice Magnolfi.
Professione: sottosegretario al Ministero per le riforme e l’innovazione nella P.A.
Argomenti: innovazione, pubblica amministrazione, diritto.
Secondo quanto attualmente prevede il disegno di legge Levi-Prodi, i blog, i siti personali, i forum, sono “prodotti editoriali” alla stregua di testate tradizionali, e devono anch’essi iscriversi al Registro degli operatori di Comunicazione (registrazione che porta con sé burocrazia, procedure, spese). Oltre ad essere una proposta che rischia di stringere ancor più il già stretto cappio della burocrazia italiana, è a tutti gli effetti una sorta di tassa sul web. Come giudica questo intervento normativo?
Il ddl sull’editoria non è sufficientemente chiaro nella definizione di prodotto editoriale. Demandando all’Autorità per le Garanzie delle Comunicazioni le definizioni specifiche e, quindi, la decisione su quali siti debbano avere l’obbligo di iscrizione al ROC.
Obbligo che molti contestano. Qual è lo scopo di tale registrazione?
Indubbiamente trovo corretto che questa iscrizione sia obbligatoria per quei siti che, sia in termini di struttura organizzativa, di funzione e di periodicità, sono assimilabili alle testate giornalistiche tradizionali. Mi sembra invece inopportuno che allo stesso obbligo siano sottoposti blog e siti personali.
I blog devono rimanere un terreno di espressione libera, non sottoposto agli stessi vincoli di una testata giornalistica. Sarebbe inoltre velleitario pensare di controllarne il contenuto, senza poi considerare che possono essere realizzati dall’estero. La Rete è un fenomeno nuovo, che richiede una regolamentazione dei contenuti ad hoc, definita con criteri differenti rispetto al passato, rigorosamente multistakeholder.
La necessità di registrazione al ROC però, sembra andare in direzione differente: cosa fa il governo, nella pratica, per tutelare queste libertà e questi diritti?
Proprio con questi propositi il Governo italiano ha di recente promosso, insieme alle Nazioni Unite, la definizione di un Internet Bill of Rights, una Carta dei diritti della rete che ha come finalità principale la tutela della libertà del web, ampliandone l’accesso e garantendo la pluralità delle opinioni e la sicurezza degli utenti. Ma attenzione: questo non vuol dire che i reati, se commessi, non debbano essere puniti, come d’altronde la legge già prevede: la libertà della Rete passa anche dai doveri degli utenti oltre che dai loro diritti. Libertà d’opinione non deve mai essere libertà di insulti.
Ma visto che lei stessa afferma che la legge già prevede che questi reati siano perseguiti, crede fosse davvero necessario quello che – nella sostanza – è un inasprimento per le pubblicazioni online?
Per le testate giornalistiche online non lo definirei un inasprimento, ma un atto di regolamentazione che per queste tipologie di siti può rappresentare anche un’opportunità di crescita e di consolidamento della propria autorevolezza.
Il Web, però, è costituito prevalentemente da siti di semplici cittadini, che certo non hanno nulla in comune con un vero prodotto editoriale e perciò non ha senso siano iscritti al ROC. A suo giudizio, com’è possibile che una legge con un’imprecisione così macroscopica sia arrivata così avanti nell’iter parlamentare, tra l’altro in periodo estivo, senza che nessuno si sia mobilitato per modificarla?
Innanzitutto si tratta di un disegno di legge, che deve ancora iniziare l’iter parlamentare. Poi mi sembra chiara la volontà, a partire dalle precisazioni del Sottosegretario Levi e dalle dichiarazioni del Ministro Gentiloni, di non attuare un’interpretazione estensiva degli articoli del ddl.
E non pensa sia il caso di agire? Per esempio aprendo un tavolo di discussione per modificare la normativa così come attualmente presentata?
Mi sembra che la discussione non solo si sia già aperta, ma stia già sottolineando la necessità di fare delle modifiche al testo attuale. Sicuramente il provvedimento deve continuare ad essere seguito, e come tutti i temi che riguardano la Rete, deve tenere conto di un approccio che coinvolga tutti i soggetti di Internet, a partire dagli utenti. Non è essenziale essere personalmente esperti di tutto, basta saper ascoltare il mondo delle competenze. Questo è il motivo per cui abbiamo costituito presso il ministero un “Comitato consultivo sulla governance di Internet”, che raccoglie alcuni fra i maggiori esperti italiani della Rete, a cominciare da Stefano Rodotà: mi auguro il cammino di questa iniziativa legislativa e delle altre che il Governo vorrà assumere in futuro terranno maggiormente conto di questa risorsa.
Tornando al disegno di legge. Alcuni osservatori hanno riscontrato un problema di costituzionalità, poiché, obbligando la registrazione di chiunque esprima il proprio pensiero online, limiterebbe la libertà di espressione dei cittadini. È così?
Non vedo un problema di anticostituzionalità, se le norme non si applicano ai blog e ai siti personali.
Il disegno di legge, nato da una proposta del 2003 dell’On. Bonaiuti ma che ha riscosso consensi bipartisan, ha messo a nudo una discreta inadeguatezza di una parte della politica italiana a trattare i temi più urgenti dell’innovazione, e ha sollevato aspre polemiche di tecnici ed osservatori. È tornata a gran voce la richiesta di un rinnovamento della classe politica, ma c’è spesso una certa reticenza a parlare di questi argomenti, Lei che ne pensa?
Penso che fra i soggetti a rischio di digital divide ci sia il “maschio adulto e munito di segretaria”, che corrisponde all’identikit di molti gruppi dirigenti, non solo della politica.
Parlando seriamente, non c’è dubbio che occorre una sensibilità nuova da parte della classe politica nell’approccio ai temi dell’innovazione tecnologica. La Rete disegna nuovi confini del mondo, prefigura strumenti inediti di rappresentanza e di democrazia, ridefinisce l’organizzazione del lavoro, crea nuovi paradigmi cognitivi.