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La diaspora dei dati personali

Durante uno dei recenti incontri telematici col bravo Guìdo Scorza si accennava alla vicenda Qtrax, l’interessante sistema peer to peer che – se mai nascerà – permetterà lo scambio legale e gratuito di brani coperti da diritto d’autore (con qualche non trascurabile limitazione). Secondo Guido uno dei problemi sottovalutati è la richiesta di dati personali in cambio di un servizio.

Sono sostanzialmente d’accordo. Dietro al marketing dei dati personali c’è un giro d’affari immenso, in crescita e spesso sottovalutato. Da tempo, per accedere ai più vari servizi (on e off line), viene richiesto ogniché e il permesso esplicito per farne l’uso più nefando, pena l’impossibilità di usare il servizio stesso. A mio parere, almeno in Italia, il codice sulla privacy (art. 11, comma 1, lettera D, Dlgs 196/2003) è piuttosto chiaro per ciò che concerne le richieste un po’ troppo sbarazzine. Quante sono, inoltre, le informative sull’uso dei dati personali scritte davvero correttamente (art. 23, comma 3)? Premesso ciò, il problema più insidioso restano quelle informative formalmente ben scritte ma eticamente discutibili. La questione è dibattuta anche in Europa, ma con alterne fortune.

Sullo specifico di Qtrax. Installandolo, non ho notato una richiesta specifica di dati personali (escluso l’IP, a seconda di come lo si valuta) e se non vado errato non c’è l’obbligo di registrazione per scaricare. Ma l’attuale instabilità del tutto o più probabilmente la mia fretta potrebbero essere le cause di questa prima impressione. Bisognerebbe anche sapere qual è la politica dei DRM utilizzati, ma non mi pare sia stata ancora resa nota. Sulla questione major, se vi interessa, la mia soggettiva opinione si può dedurre da questa intervista a Claudio Buja (Universal) e da questa semi-chiaccherata on line col presidente FIMI Enrico Mazza. Avrò modo di tornare sull’argomento in futuro, comunque.

Più in generale, nel campo del marketing sui dati probabilmente l’affare del secolo l’ha fatto Google: in ogni istante incamera silenziosamente yottabyte di informazioni sulle preferenze di interi continenti. Acquisti, economia, musica, computer, sesso, politica, religione e morte. Mettendo in relazione le ricerche effettuate con la mappatura degli IP (che almeno fino a qualche tempo fa era pubblica ed è stata comunque riprodotta) e con la localizzazione linguistica, conosce con precisione gli interessi e i desideri di intere popolazioni, nazioni, città: e può muoversi economicamente per accontentarli. In stato di sostanziale monopolio. Certo: non sempre può identificare un soggetto specifico (quelli che si trasmettono non sono sempre dati personali). Ma poco gli importa. Nome e cognome sono una formalità di cui si può fare a meno, quando si può sapere cosa sta cercando un tizio con gli stessi interessi, che abita nella stesso zona, e che si connette negli stessi orari. Tutti questi dati, messi in relazione con gli studi pubblici e privati sull’uso medio di internet nella popolazione per età e sesso, diventano una vera pietra filosofale per il marketing.

Google, in cambio di ciò, offre servizi gratuiti di eccellente qualità, primo fra tutti il suo motore. Ma vale davvero la pena accettare un “baratto” del genere? Forse sì, ma è una domanda che preferirei non dovermi porre e che, stranamente, sembrano porsi in pochi.

(foto di copertina da https://flickr.com/photos/zoghal)

Luca Spinelli

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