Intervista a: Antonio Di Pietro.
Professione: Ministro delle infrastrutture e dei trasporti.
Contenuti: università, fuga dei ricercatori, informatizzazione e sviluppo, società.
Ministro, è nuovamente agli onori delle cronache l’irrisolta questione della fuga dei cervelli dall’Italia. La situazione non è delle migliori, nonostante le recenti affermazioni del Governo e il piano per incentivare il rientro dei dottori italiani. Come vive oggi un ricercatore italiano?
Posso rispondere soltanto per esperienza indiretta, visto che ricevo moltissime email di ricercatori che con me si sfogano. Penso che la situazione sia abbastanza grave per un Paese della nostra importanza: ci sono giovani costretti a fare ricerca con pochissimo denaro e con strutture indegne di un Paese civile; costretti anche a fare da figuranti – diciamo – rispetto ai loro superiori che spesso e volentieri abusano della propria posizione più blasonata e prestigiosa.
Certo, quando si assiste alla fuga di un cervello come Carlo Rubbia si ha la sensazione che non sia più un fatto che riguarda i soli “giovani ricercatori”, ma una sorta di malattia del sistema: una malattia che dobbiamo affrontare di petto.
Una malattia che forse nasce anche dalla mancanza di fondi e dalla difficile situazione tecnologica. Per la sua esperienza, in che stato è l’informatizzazione nelle università italiane? La diffusione dei mezzi, delle reti, la capacità d’uso nel corpo docente…
Per quanto riguarda la capacità d’utilizzo non saprei proprio, posso ipotizzare e pensare che i ragazzi utilizzino i mezzi informatici più dei professori, ma voglio anche credere che ci siano sostanziali eccezioni.
Per ciò che concerne la diffusione si può sicuramente fare di più, anzi: si deve fare di più. Penso, purtroppo, anche a tante realtà universitarie del sud Italia.
Intanto l’annuale classifica dell’università Jiao Tong di Shanghai ci dipinge assai poco competitivi sullo scenario internazionale. Solo La Sapienza di Roma si salverebbe. Quali sono le prospettive a breve e lungo termine?
Beh, molto dipenderà dalla direzione che questo governo riuscirà a dare ad un settore strategico come quello dell’Università. Anche in questo caso sono abbastanza fiducioso, poiché credo che ci sia l’intenzione, da parte di tutta la maggioranza, di dare una bella scossa al sistema nel suo complesso. A mio parere non si può prescindere dall’informatizzazione generalizzata, dai corsi di aggiornamento per i docenti, e non si può prescindere dall’affrontare quel cancro tutto italiano che è il sistema delle baronie. Anche su questo i giovani elettori si aspettano un segnale da noi, e credo che non dovremo tardare a darlo.
A proposito dei giovani. Come valuta il loro rapporto con le nuove tecnologie? La situazione è migliorata o è ancora diffusa una certa arretratezza?
No, arretratezza non direi. Su questo punto sono più fiducioso: intorno a me vedo molta più dimestichezza che in anni passati, e rispetto a generazioni precedenti.
Penso a mio figlio adolescente, col quale spesso chatto la sera e che mi istruisce sulle ultime novità informatiche. Sono svegli e curiosi, oltre che abili, i giovani italiani.
Allarghiamo il campo d’analisi. Una recente inchiesta della rivista Login descrive un paese anziano, poco incline all’uso del computer e con poca familiarità con la Rete. Si pronostica, inoltre, un costante invecchiamento della popolazione che graverebbe sulla competitività del paese. Si tratta di una visione pessimistica o è il reale stato delle cose? Nel caso, quale strada si deve intraprendere per sbloccare lo stallo?
Francamente mi sembra un’esagerazione: capisco i problemi oggettivi, capisco l’indubbia arretratezza nell’utilizzo di Internet del nostro Paese rispetto agli standard europei, ma delineare uno scenario che ci tagli fuori dalla competitività perché non si fanno figli mi sembra discutibile. E poi non è vero che non si fanno figli: recentemente, se non erro, il tasso di natalità si era rialzato.
Non dimentichiamoci, poi, che le nuove generazioni saranno composte anche dai figli degli immigrati, che diventeranno a pieno diritto degli italiani, e che, a quanto risulta, sono particolarmente attratti dalle nuove tecnologie.